Oggi ho iniziato così la mia giornata, scrivendo sul mio profilo un augurio affinché quest’anno sia speciale.
Poi, pensandoci bene, io non voglio davvero un anno speciale, voglio solo un anno normale.
Normale per la quotidianità delle relazioni, di persone che ti ascoltano, che argomentano, che discutono, che aggiungono valore alle nostre giornate.
Un tweet stamane mi ha molto colpito:
Essere utili e preziosi in una vita dove spesso (se non sempre) tutte le nostre azioni devono essere misurate per poter essere valutate.
Ogni giorno, nella presenza online ed offline viviamo relazioni sociali e lavorative condizionate dall’impatto che il digitale ha portato nelle vostre vite.
La nostra presenza quindi non è più solo un modo di rappresentare noi stessi in una comunità ma sempre più un modo per aumentare il nostro ranking sociale grazie alle azioni quotidiane di relazione.
Ed ecco che ci troviamo spesso a non relazionarci con il resto del mondo per esprimerci, arricchirci, confrontarci, collaborare o anche solo per stare meglio ma solo per avere un credito di riconoscibilità, che sia un like, una condivisione o l’aggiunta di un piccolo pezzetto di reputazione.
Un meccanismo sottile, infido e nascosto che ci mette in una eterna competizione di una streaming Life di punteggi dove il senso dell’esserci è appunto se siamo riconosciuti o monetizzatili.
Una deriva che sta distruggendo la purezza dei rapporti umani (anche se non è colpa del digitale ma solo della enorme amplificazione e condizionamento che questo porta) per un modello di valore praticamente solo economico.
Ogni giorno creiamo contenuti non per il piacere di di esprimerci ma per il piacere che questi vengano apprezzati assecondando l’indole umana ma portandola ad una estremizzazione pericolosa, quella di essere perennemente in gara, valutati per ciò che produciamo nel marketing di noi stessi.
Da questo scaturisce la banalizzazione e l’omologazione di tutto ciò che ci circonda.
Un tripudio di parole e contenuti sempre uguali, foto e testi creati per stupire sempre di più deformando la realtà filtrandola con gli strumenti della vacuità usa e getta.
Una recita collettiva di un racconto prevedibile, noioso, autoreferenziale che un unico scopo, il punteggio sociale.
Siamo meglio di un videogame, siamo esseri umani che hanno anche la giusta aspettativa di capire il senso della propria vita su questa terra ma non solo per produrre reddito, reputazione, popolarità.
Siamo soprattutto le microrelazioni, quelle apparentemente inutili e senza un valore oggettivo, quelle che creano le comunità intorno a dei valori condivisi e non quelle per accumulare ricchezze utili solo alla classifica sociale.
Provare a essere utili e preziosi nella vita degli altri, presenti soprattutto.
Anche con un sorriso, un tramonto, un complice e inutile silenzio.